domenica 26 aprile 2015

MONTHLY BOOKS |APRIL| John Green, Paper Towns



Lo so, lo so. Ho cannato marzo.
Diciamo che non sono riuscita a finire nulla.

John Green direte voi. Perchè?
E soprattutto dopo Tolstoji. Really, Noemi? Really?
Non è proprio il mio genere, vero (per quando questo post sarà online avrò letto anche The Fault in Our Stars, e posso dirvi già da adesso che alcune ore della mia vita sono state buttate al vento), ma volevo assolutamente far parte del #buttonbookshelf almeno per una volta e questo (dei quattro scelti sin'ora da Estée) era l'unico reperibile qui in Italia (una delle mie YouTubers preferite, EssieButton, sceglie un libro al mese da leggere insieme ai suoi subscribers per commentarlo via Twitter, Instagram e YouTube. Adoro i club del libro, ho sempre voluto far parte di un fottuto club del libro. FATEMI FAR PARTE DI UN FOTTUTO CLUB DEL LIBRO).
Poi su, sta uscendo il film tratto dal libro #marketing. Con Cara Delevigne. CARA DELEVIGNE.
La adoro ed adoro il suo tatuaggio sull'indice, potrei copiarle l'idea ma non troverei mai più lavoro. Sì, siamo in Italia e le dita le tengo non tatuate per motivazioni prettamente sociali.


Quindi, Paper Towns. Città di Carta.

I'm not gonna lie. L'ho scaricato.
Ho un iPad mini. Ho Dropbox. Sto cambiando casa e devo pagare quasi 2000€ tra caparra, affitto e bollette dell'altra casa. Fate voi i conti.
Come con le serie TV (sapete che sono/ero un'avida divoratrice di drama coreani) quando leggo un libro, essendo arrivata (chi l'avrebbe mai detto) alla matura età dei trent'anni, oramai non riesco più ad identificarmi con le tematiche adolescenziali, per quanto mi sforzi. Ad alcuni capita ed ad altri no, vero, ma forse proprio per questo non sono riuscita a farmi coinvolgere completamente dall'atmosfera della storia.
Seguire quindi la storia di Q(uentin), trascinato da Margo (la sua amica-d'infanzia-diventata-idolo-del-liceo-che-non-lo-caga-più-di-striscio-manco-a-pagala-oro) in un diabolico piano notturno da lei studiato per  vendicarsi del suo ragazzo fedifrago e dei suoi finti amici a colpi di pesci morti nei cassetti e sopracciglia depilate nel sonno (uuuuuuuuh, we've got a badass here) per poi sparire nel nulla buttando il povero Q nello sconforto più totale, con la convinzione che si sia inesorabilmente suicidata (Madonna Santa Q., pensa positivo) e con una poesia di Walt Whitman sfracassapalle da interpretare come indizio non mi ha particolarmente entusiasmato né dal punto di vista narrativo né, diciamolo, emotivo.

Questo però non vuol dire l'abbia trovato un libro pessimo.
Penso che Green sia uno di quegli autori contemporanei un po' sopravvalutati, sì, ma certamente superiori da un punto di vista tecnico ad altri scrittori che hanno avuto ancor più successo con opere ben più imbarazzanti (non tutti forse lo sapete, ma ho letto l'intera saga di Twilight -il primo anche in inglese, per accertarmi che la Meyer scrivesse davvero così di merda e che non fosse colpa del traduttore- per poter davvero dire, senza pregiudizi, che sì, fa veramente cagare. E posso dirlo perchè diamine, l'ho letto! Li ho letti tutti, porco cazzo, quando avrei potuto studiare per gli esami che mi mancano alla laurea. O finire I Fratelli Karamazov di D., che invece adoro. Incredibile come a volte le cose che non ti piacciono ti risucchiano un perverso abisso dove non puoi fare a meno di pensare "Dio, fa così schifo che devo finirlo").

La storia tutto sommato non mi è dispiaciuta, l'ho letto volentieri. Forse ero partita con grandi aspettative, e forse anche lì è stato il mio errore.
Non sono convinta sia convenzionalmente accettabile come metro di giudizio relativo al gradimento di un libro, ma spesso se un racconto mi coinvolge al punto di dedicarvi ogni singolo momento libero della mia giornata finisco per annotare ogni singola frase, citazione, passaggio sul mio Moleskine o per riempire il libro di appunti, annotazioni o care vecchie orecchiette ai bordi.
Con Paper Towns (scusatemi, sono ossessionata dal chiamare le cose con il loro titolo originale) non è praticamente mai successo. Solo un passaggio ha suscitato la mia attenzione più degli altri (un dialogo tra Q. ed il suoi genitori), ma nulla più.


Tipico dei miei genitori: secondo loro nessuno può essere un pezzo di merda e basta. C'è sempre qualcosa di problematico dietro, non sono solo stronzi col botto: devono avere problemi di socializzazione, o magari personalità borderline, cose così. 
(...) 
"So che adesso ti è impossibile vedere i tuoi coetanei in quest'ottica, ma quando sarai adulto comincerai a vederli tutti come persone, sia i buoni che i cattivi. Semplici persone, che meritano di essere considerate. Affette da disturbi, nevrosi, difficoltà più o meno gravi ad entrare in contatto con la realtà."
(...)
"Più faccio il mio lavoro, più mi rendo conto che gli esseri umani sono sprovvisti di buoni specchi. E' durissima per gli altri spiegare a noi come ci vedono e durissima per noi spiegare agli altri come ci sentiamo."



Da qui a consigliarvi di starne alla larga, però, no.
Se cercate qualcosa di veramente coinvolgente e più oscuro, ma comunque avvincente e leggibile, Murakami for life (L'Uccello che girava le viti del Mondo, Kafka sulla Spiaggia), ma se cercate un libro più breve, gradevole e con un hint di mistero allora perchè no.

Quanto a me, The Fault in Our Stars è stato un disastro (mille, mille volte meglio A Walk To Remember di Sparks a questo punto se volete darvi una martellata sui maroni fatta come si deve, sia per quanto concerne il libro che l'adattamento cinematografico) ma penso che farò un ultimo tentativo con le sue prime opere, An Abundance of Catherine o Looking For Alaska.
Vi farò sapere o anche no.

See you soon ;)

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