mercoledì 4 gennaio 2012

Orario di visita

Ieri mattina nella sala d'aspetto del mio medico pensavo a quei ricordi d' infanzia di cui probabilmente hanno scritto migliaia e migliaia di altre persone. Hai 7-8 anni e tua madre ti porta con sé quando deve farsi visitare o prescrivere delle medicine, e tu sei lì a fissare la tipica matita a forma di pupazzetto dentro al portapenne poggiato sulla scrivania e tutti gli altri più piccoli dettagli, dal nome delle medicine ai rivestimenti delle poltrone ai nomi degli autori dei quadri appesi nel corridoio ai nomi degli organi segnati sulle targhettine dello scheletro appeso alla parete. Sei lì che non capisci una parola dei discorsi che fanno e pensi "Ma perchè non andiamo a casa? Siamo qua da una vita" o "Magari mamma mi compra un gioco quando usciamo. Vabè anche se non vuole me lo faccio comprare uguale. Ma quant'è brutto 'sto coso arancione sulla matita."

Dio, le cose cambiano. Il medico di quando ero bambina (che chiaramente era anche un pediatra, valla a capire la differenza quando hai meno di 10 anni) è andato in pensione, facendosi sostituire dalla figlia; io nel frattempo ho cambiato dottore (non che lei fosse un'incapace, chiaro), è andato in pensione anche questo (Madonna santa, e che è) e la mia attuale dottoressa  ha sempre la sala d'attesa strapiena anche dopo gli orari di visita e ti lascia le ricette in una busta nella reception dell'ambulatorio. E' una personcina deliziosa, in ogni caso.

Sfortunatamente per me, a 26 anni i discorsi con il dottore ora sono obbligata a capirli. Sono costretta ad andare a prendere ricette e certificati per me, a chiedere informazioni sulle prescrizioni dei medicinali, a spiegare dettaglio dopo dettaglio i sintomi di un malessere da brava (ex?) ipocondriaca.
Io lo dicevo da piccola che non volevo crescere. Non ho smesso di ricordarmi a memoria i dettagli delle sale d'aspetto, però. Adesso sul retro della porta c'è un poster con l'anatomia dell'orecchio e sul tavolo delle riviste c'è Style Magazine, D di Repubblica e Vanity Fair. E gli opuscoli delle agenzie di viaggio.

E io sono sempre io. 
Forse.

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